2 - 10 giugno 2012 ore 18.00 - 21.00
Galleria ESPACE S & P - Suoni & Pause
Via Savoia, 19 - Cagliari
L’arte,
ma anche la personalità di Franco Caruso (Escalaplano, 1941), sfugge a
qualsiasi definizione che non appaia, a rileggerla, banale, probabilmente
perché la sua creatività ha sempre percorso itinerari originali, espressione di
continue riflessioni estetiche, sociali, politiche, mai appagate, messe a confronto
costantemente con il dubbio, la curiosità, la discussione.
La sua
passione per le arti figurative ha avuto un momento di fondamentale formazione
negli anni del Liceo Artistico (quando a dirigerlo era Foiso Fois), dove, da
ragazzo discontinuo nello studio in un sistema scolastico pre-riforma
dell’obbligo, consumato dal conformismo e dalla noia della mnemotecnica,
diventa un allievo brillante, un appassionato studente che scopre i capolavori
topici e, seppure non contenute nei programmi, le forme inquietanti, ma vitali
dell’arte moderna. Il problema, però, si pone subito come a tanti giovani
artisti, sardi e no, di quell’epoca: può l’arte cambiare il mondo o, per lo
meno, incidere con forza nella realtà quotidiana? E’ un nodo cruciale questo,
non una mera diatriba ideologica; per Caruso sarà il fulcro su cui ruoterà la
sua vita di artista, ma anche quella strettamente personale.
Alla
fine degli anni cinquanta, appena diciottenne aderisce al “Centro di Iniziativa
Democratica”, a cui partecipano personaggi del calibro di Pantoli, Mazzarelli,
Pettinau, Brundu, Staccioli. Sostenuti anche da intellettuali dell’ateneo di
Cagliari (tra gli altri Ricci, Naitza, Masala, Restaino), i giovani, come
scrisse Salvatore Naitza, nelle loro discussioni, collocano “la valutazione
critica del ruolo degli intellettuali. Basilare si prospetta subito il rapporto
di conservazione-innovazione, con la sottolineatura e le varianti, collegate ai
nessi di fondo presi in prestito da Gramsci quali città-campagna, passato-presente, tradizione-contemporaneità…”(1)
Come
risponde “Il Centro”, insomma, alla necessità di arrivare alla gente che
sentiva ancora la creatività figurativa come un fenomeno di nicchia,
stratificato da stereotipi, da incomprensioni, da ignoranza? “Premesso che
nessuno di noi accettava l’impostazione del realismo
socialista, e mentre la discussione era continua, ognuno restava libero di
usare il proprio linguaggio, confidando, attraverso l a ricchezza delle
individualità, in un quadro di più estesa coerenza rispetto ad un
“atteggiamento” di ricerca piuttosto che ad un enunciato estetico unificante.
Il che permetteva la convivenza ( non senza dibattito) dell’astrattismo
graffiante di Brundu e di quello lirico di Utzeri con il realismo
del primo Mazzarelli e il simbolismo di Pettinau, l’espressionismo di
Staccioli e i grafismi di Ferruccio Fantini.” (3). Un altro elemento
determinante delle mostre era, così, il rapporto stretto con il pubblico,
desideroso di discutere dell’oggetto artistico o, di qualsiasi argomento
venisse associato alle opere e riflettesse questioni social-culturali. Da quei primi contradditori anni sessanta del
Novecento, dove la “mutazione”, la “nuova storia”(4) come la
chiamava Pasolini si dispiegava fomentando sogni, progetti, trasgressioni (e,
in seguito, pure profonde delusioni).
Da
qualche anno Franco Caruso, nell’impossibilità di cedere all’autoreferenzialità
di sereno pensionato, si è dedicato ad una Associazione Culturale (Quartojosso)
della cittadina dove risiede, Quartucciu, e, come al solito, è riuscito a
creare un gruppo di artigiani-artisti, che non avevano magari mai toccato la
creta o intagliato il legno prima e a cui ha cambiato (in meglio) la vita.
Intanto ha “riscoperto” la terracotta, forse ricordando quello che gli diceva,
negli anni del Liceo Artistico, il docente di modellato: “Franco tu hai le mani
da scultore”. Così inizia una produzione quasi quotidiana di lavori di
terracotta assolutamente sorprendenti. Quindi nascono segni metonimici riguardanti
soprattutto l’amata figura femminile: seni felliniani o appena accennati,
particolari evocanti le madri Mediterranee, la solarità del corpo della donna,
occhi profondi, visi picassiani, dolcezze e morbidezze materiali e, nello
stesso tempo, mentali.
Chi ha
detto che l’età matura o magari la sofferenza fisica produce esclusivamente
depressione, chiusura in se stessi, diffidenza, moderazione? Le opere di Franco
Caruso rispecchiano la sua giovinezza creativa intatta, il piacere della
bellezza non adeguata al nodello prevaricante del momento storico, ma vissuta
come libertà da qualsiasi costrizione, persino quella dello spazio ristretto di
una mattonella di creta. Ed è giusto,
dopo tante battaglie, presentare alla gente le sue nuove opere, perché dopo i
settanta anni, si può, senza pudore, non solo mostrare la propria convinta
ideologia, ma pure la propria anima.
Elisabetta Randaccio
Elisabetta Randaccio
(1)
S.NAITZA, Il
gruppo di iniziativa 1960-67, Milano, 1990, p.6
(2)
Ibidem
(3)
F.CARUSO, Testimonianza
in S. Naitza, Il gruppo di iniziativa
1960-67, cit. p. 47
(4)
“Nessuno sapeva più nulla della pietà,/della
speranza: sapevano /in questa accanita città,/ solamenteil futuro, / come già
seppero la vita./ Ognuno l’aveva in cuore, passione quotidiana, scontata/novità,
luce della nuova storia.” P.P.PASOLINI, Poesia
in forma di rosa, Milano, Garzanti, 1976, p.92