Che cos'è?


CARATTERISTICHE DELL'ASSOCIAZIONE


Quartojosso è un'associazione culturale che mette a disposizione dei soci i suoi locali, dove ognuno può svolgere libere attività in proprio o seguire le iniziative comuni, quali:
intaglio del legno, ceramica, pittura e disegno, scultura in pietra, fotografia, etc.
L'associazione organizza mostre, ricerche e corsi, rivolti agli interni ed esterni, siano essi già esperti o del tutto principianti.
Quartojosso, associazione senza scopo di lucro, accoglie soci senza confini territoriali, e chiede adesioni, sostegno e solidarietà a privati ed enti.

MOSTRA Franco Caruso - Piccoli bassorilievi in cotto


L’arte, ma anche la personalità di Franco Caruso (Escalaplano, 1941), sfugge a qualsiasi definizione che non appaia, a rileggerla, banale, probabilmente perché la sua creatività ha sempre percorso itinerari originali, espressione di continue riflessioni estetiche, sociali, politiche, mai appagate, messe a confronto costantemente con il dubbio, la curiosità, la discussione.
La sua passione per le arti figurative ha avuto un momento di fondamentale formazione negli anni del Liceo Artistico (quando a dirigerlo era Foiso Fois), dove, da ragazzo discontinuo nello studio in un sistema scolastico pre-riforma dell’obbligo, consumato dal conformismo e dalla noia della mnemotecnica, diventa un allievo brillante, un appassionato studente che scopre i capolavori topici e, seppure non contenute nei programmi, le forme inquietanti, ma vitali dell’arte moderna. Il problema, però, si pone subito come a tanti giovani artisti, sardi e no, di quell’epoca: può l’arte cambiare il mondo o, per lo meno, incidere con forza nella realtà quotidiana? E’ un nodo cruciale questo, non una mera diatriba ideologica; per Caruso sarà il fulcro su cui ruoterà la sua vita di artista, ma anche quella strettamente personale.
Alla fine degli anni cinquanta, appena diciottenne aderisce al “Centro di Iniziativa Democratica”, a cui partecipano personaggi del calibro di Pantoli, Mazzarelli, Pettinau, Brundu, Staccioli. Sostenuti anche da intellettuali dell’ateneo di Cagliari (tra gli altri Ricci, Naitza, Masala, Restaino), i giovani, come scrisse Salvatore Naitza, nelle loro discussioni, collocano “la valutazione critica del ruolo degli intellettuali. Basilare si prospetta subito il rapporto di conservazione-innovazione, con la sottolineatura e le varianti, collegate ai nessi di fondo presi in prestito da Gramsci quali città-campagna, passato-presente, tradizione-contemporaneità…”(1)
Scorrendo i titoli delle mostre e le sedi scelte per esse dal “Centro di Iniziativa Democratica”, si può notare lo stretto legame di chi pratica “l’ingrato territorio del rinnovamento” (2) e le trasformazioni della società italiana (e sarda) di quel preciso momento storico: “Omaggio a Nazim Hikmet”  (1961, una mostra che porterà ad un legame rilevante tra la traduttrice del poeta turco, ovvero Joyce Lussu e i giovani pittori), “L’uomo alienato” (1961),”Collettiva al Festival dell’Unità” (1961), “Collettiva nella sede del gruppo Algeria 62” (1962), “Collettiva nella sede del gruppo Per le liriche di F.Masala” (1963).
Come risponde “Il Centro”, insomma, alla necessità di arrivare alla gente che sentiva ancora la creatività figurativa come un fenomeno di nicchia, stratificato da stereotipi, da incomprensioni, da ignoranza? “Premesso che nessuno di noi accettava l’impostazione del realismo socialista, e mentre la discussione era continua, ognuno restava libero di usare il proprio linguaggio, confidando, attraverso l a ricchezza delle individualità, in un quadro di più estesa coerenza rispetto ad un “atteggiamento” di ricerca piuttosto che ad un enunciato estetico unificante. Il che permetteva la convivenza ( non senza dibattito) dell’astrattismo graffiante di Brundu e di quello lirico di Utzeri  con il realismo del primo Mazzarelli e il simbolismo di Pettinau, l’espressionismo di Staccioli e i grafismi di Ferruccio Fantini.” (3). Un altro elemento determinante delle mostre era, così, il rapporto stretto con il pubblico, desideroso di discutere dell’oggetto artistico o, di qualsiasi argomento venisse associato alle opere e riflettesse questioni social-culturali.  Da quei primi contradditori anni sessanta del Novecento, dove la “mutazione”, la “nuova storia”(4) come la chiamava Pasolini si dispiegava fomentando sogni, progetti, trasgressioni (e, in seguito, pure profonde delusioni).
Franco Caruso non ha più avuto interesse a esporre, magari in una “personale”. Eppure il suo cammino d’artista è continuato in maniera feconda, attraversando stili e tecniche, con una necessità di sperimentazione mai sazia. Contemporaneamente, però, l’impegno politico e sociale si faceva maggiormente pressante. E’ più importante “sprecare  tempo” a organizzare un vernissage o creare le immagini per un volantino ciclostilato in migliaia di copie? Ha più senso, mentre la realtà, in maniera precipitosa, ti esplode vicino, concentrarsi su un quadro o continuare l’autoformazione intellettuale non solo con i tuoi compagni di impegno politico, ma con le persone e i gruppi più disparati, “affamati” di cultura, di nuova didattica, di metodi di intervento nel sociale? Franco Caruso dagli anni sessanta a questo patetico scorcio di nuovo millennio è stato per molti un maestro, un punto di riferimento umano e culturale. Insieme a Fabio Masala – l’indimenticabile fondatore della Cineteca sarda – suo “complice”in mille iniziative nella nostra isola, è stato il vero intellettuale sardo gramscianamente “organico”, sia impostasse il lavoro per una discussione delle notizie emesse dai mass media (il controllo metodico del telegiornale, di cui, di questi tempi, con la sua attenzione ai modi  di dare le informazioni, al numero di notizie prodotte, sarebbe da riprendere per arginare l’analfabetismo sulle strategie di comunicazione che fiacca lo spettatore passivo) oppure di un film. Infatti - il cinema e gli audiovisivi in genere – sono stati un campo di lavoro privilegiato per Franco Caruso oltre che una vera passione. A ripensarci, il suo percorso umano è stato al servizio di un mondo migliore, pur senza mai ostentare snobismi, vittimismi o eroismi. Si è detto che la sua passione creativa è continuata ed è indicativo il suo  firmarsi con la sigla “AF”, a ricordare come la sua compagna di vita , Anna, sia stata un sostegno straordinario pure nella vicenda artistica.
Da qualche anno Franco Caruso, nell’impossibilità di cedere all’autoreferenzialità di sereno pensionato, si è dedicato ad una Associazione Culturale (Quartojosso) della cittadina dove risiede, Quartucciu, e, come al solito, è riuscito a creare un gruppo di artigiani-artisti, che non avevano magari mai toccato la creta o intagliato il legno prima e a cui ha cambiato (in meglio) la vita. Intanto ha “riscoperto” la terracotta, forse ricordando quello che gli diceva, negli anni del Liceo Artistico, il docente di modellato: “Franco tu hai le mani da scultore”. Così inizia una produzione quasi quotidiana di lavori di terracotta assolutamente sorprendenti. Quindi nascono segni metonimici riguardanti soprattutto l’amata figura femminile: seni felliniani o appena accennati, particolari evocanti le madri Mediterranee, la solarità del corpo della donna, occhi profondi, visi picassiani, dolcezze e morbidezze materiali e, nello stesso tempo, mentali.
Chi ha detto che l’età matura o magari la sofferenza fisica produce esclusivamente depressione, chiusura in se stessi, diffidenza, moderazione? Le opere di Franco Caruso rispecchiano la sua giovinezza creativa intatta, il piacere della bellezza non adeguata al nodello prevaricante del momento storico, ma vissuta come libertà da qualsiasi costrizione, persino quella dello spazio ristretto di una mattonella  di creta. Ed è giusto, dopo tante battaglie, presentare alla gente le sue nuove opere, perché dopo i settanta anni, si può, senza pudore, non solo mostrare la propria convinta ideologia, ma pure la propria anima.
                                                                                     Elisabetta Randaccio



(1)        S.NAITZA, Il gruppo di iniziativa 1960-67, Milano, 1990, p.6
(2)        Ibidem
(3)        F.CARUSO, Testimonianza in S. Naitza, Il gruppo di iniziativa 1960-67, cit. p. 47
(4)        “Nessuno sapeva più nulla della pietà,/della speranza: sapevano /in questa accanita città,/ solamenteil futuro, / come già seppero la vita./ Ognuno l’aveva in cuore, passione quotidiana, scontata/novità, luce della nuova storia.” P.P.PASOLINI, Poesia in forma di rosa, Milano, Garzanti, 1976, p.92





















































































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